Una riflessione del nostro Don Tommaso

Oggi per me è stata una giornata veramente grande di incontro con la “nuova” SGB, una comunità che continua a crescere… è stato un momento di grande e forte spiritualità e  di emozione. Grazie di cuore veramente a tutti del dono che mi avete fatto e soprattutto del vostro affetto e della vostra vicinanza, grazie anche per chi non ha potuto venire. Si vede che nonostante la lontananza e la rarità dei raduni a guidarci nella vicinanza e nella comunione è quello che abbiamo ricevuto (da preti, famiglie, anziani e giovani) e che viviamo giorno per giorno, che per noi è fondamentale per continuare a guardare al futuro.

Con affetto …grazie di cuore a tutti…

Speriamo di vederci presto

Tommaso


Ri-Raduno 8 ottobre 2023

Ed eccoci qua!
Dopo qualche annetto, dopo la pandemia, dopo qualche partenza ma anche qualche arrivo… è stato raduno!
Con la “scusa” del 40mo di don Tommaso, ci siamo rivisti.. sempre uguali nello spirito.. e, dai, anche nel corpo!!!  

E ci siamo lasciati già con qualche nuovo progetto…

Grazie a tutte/i  partecipanti, soprattutto a chi è venuto appositamente da lontano (ad esempio: Grosseto) prendendo anche un giorno di ferie!

Brava Daniela!!!!

Un grande ciao ed alla prossima!!!!

Link alle foto https://www.flickr.com/photos/amarcordmarnero/albums/72177720311780026


Natale 2020 Don Francesco ci scrive

Namalundu, 21 Dicembre 2020

Carissimi Amici,
vi scrivo avendo bene in mente che di questi tempi ognuno di noi può essere appesantito da sensazioni contrastanti. I desideri di normalità, di relazioni calorose e vicine, di liberazione da ciò che ci limita, affollano il nostro io più profondo ma non intravvedono ancora all’orizzonte l’attesa fine. E augurare Buon Natale sembra quantomeno fuori luogo…
Qualcuno ha definito il 2020 l’anno peggiore di sempre. Forse sì! Ma forse lo è stato solo per alcuni. Qui in Zambia qualcosa forzatamente è cambiato a causa dell’allarme mondiale che ha imposto chiusure e creato divieti. Ma alla fine, e per fortuna nostra, il virus maledetto non ha trovato spazio. Sarà che qui siamo abituati a convivere con altri virus maledetti, quelli che fanno morire da sempre milioni di persone e per cui nessuno si è mai preocupato di trovare un vaccino. E allora anche quest’ultimo, non trovando spazio per via di una resistenza millenaria a prove anche peggiori, se ne’è andato, almeno per ora, altrove.
Ma un regalo ce lo ha lasciato! Quello del collasso di un economia già fragile che grazie alla contrattura finanziaria mondiale ha provocato la perdita del valore della moneta locale del 100% in poco meno di un anno. Del defaulf dello Zambia nessuno ne ha fatto parola! Solo qualche esperto del settore ha accennato a questa appendice di cronaca del continente nero dove la gente può morire per ragioni diverse senza fare troppo rumore e troppa notizia.
Ma, nonostante tutto, questo paese rimane meraviglioso per la sua gente così contenta della vita e così piena di vita, così forte, così libera e così abituata a portare il peso di fardelli veramente pesanti.
Tra pochi mesi rientrerò in Italia. Mi è stato chiesto per obbedienza e non vi nascondo che dire di sì è stata dura. Ma proprio perchè ho imparato molto da tutta la gente che ho incontrato qui in questi lunghi anni (saranno quasi 15 al mio rientro!) ho scelto di considerare l’aspetto positivo del momento.
Scoppio di gratitudine perchè il cammino fatto in questa nazione, in questo continente, in questa terra straniera dove sono rimasto sempre e solo un immigrato bianco, mi ha fatto respirare e mi ha immerso in una dinamicità di vita che mi ha cambiato. Una canzone a me cara e citata già in altre occasioni dice che “il viaggio cambia un uomo”. Questo viaggio durato anni e vi assicuro, non senza sofferenze e fatiche anche grandi, mi ha cambiato dentro e mi ha reso una persona migliore.
Sono sicuro che la scelta di dare la disponibilità per la missione in Zambia, maturata molti anni fa, sia stata la scelta più azzeccata della mia vita. Ho scoperto un mondo ignoto ma reale e meraviglioso e nel contempo ho imparato a guardare e comprendere le cose da un altro punto di vista. Ho colto e raccolto a poco a poco una sapienza di vita genuina e semplice che fa parte di una dimensione esistenziale che all’inizio sfuggiva a me, uomo occidentale, ma che a poco a poco è diventata familiare. Ho realizzato ed accettato che comunque, nonostante tutti i miei sforzi, io rimango una persona di un altro mondo. Mi sono avvicinato, mi hanno lasciato avvicinare, ma la distanza tra noi rimane, come quella distanza incolmabile che è da accettare in qualsiasi relazione. Siamo tutti fratelli ma ognuno di noi ha la propria originalità da apprezzare, rispettare e custodire.
Lo Zambia e Lusaka sono diventati casa mia. Faccio parte di questo mondo e questo mondo mi appartiene e sarà con me ovunque andrò a spendere il resto dei miei anni.
Ma quando arriverò in Italia vorrei sentire che anche quel mondo in cui sono nato, sono cresciuto, mi sono formato è parte di me ed è la radice del mio essere, è la mia casa, il mio villaggio (come dicono qui), dove ho ancora molti legami di affetto e di amicizia.
Aspettatemi!
Ma vorrei tornare, se me lo permetterete, quando il virus maledetto se ne sarà andato. Così, incontrandovi, potrò abbracciarvi e il calore che mi darete mi farà sentire ancora una volta a casa.
Buon Natale a tutti. Con grande affetto.
don Francesco


BUONA LIBERAZIONE

Buon 25 aprile !!

E buona liberazione………. anche dal virus, ma noi di Amarcord come al solito siamo avanti (vedi foto)!!!!!!!!!! CIAO !!! Fabrizio


E comunque è Pasqua

Ciao a tutte/tutti, speriamo stiate bene.
Sono giorni strani, così diversi, sicuramente unici (per ora e speriamo per sempre!).
E comunque, qualunque cosa succeda, Pasqua arriva…

Facciamo nostro un pensiero di Rosario:

Una Pasqua sbagliata…? Sarebbe da pensare che è proprio così.
Poi pensi a quante vie Crucis stanno percorrendo le strade del mondo, le corsie degli ospedali, i luoghi della sofferenza, il coraggio di chi combatte in prima linea la malattia,
quella dei tantissimi volontari che rischiano “senza se e senza ma”.
Pensando a quanto profondo è il dolore di queste settimane si avverte, forte, il desiderio di uscire dal sepolcro dei nostri limiti.
Con questa consapevolezza la Pasqua non sarà sbagliata. Semplicemente vera….

Tanti auguri di una vera Pasqua a tutti !

Il comitato Amarcord

E facciamo seguire altre riflessioni, sempre di Rosario, su questi tempi (anche in allegato)

Riflessioni al tempo del corona virus.

Un prologo

E ora che fare? Riaprire la vita ordinaria martedì? Mantenere chiuso qualche altro giorno…? I fatti raccontano che esistono luoghi focolai dell’influenza che sono stati individuati e circoscritti. Sono monitorati e tenuti sotto controllo. Compito delle autorità è vigilare che nessuno interrompa la quarantena, i medici ed i paramedici devono fare il loro lavoro con tranquillità e professionalità, chi deve operare nella sanificazione degli ambienti, in particolare gli ospedali deve essere verificato nelle sue reali capacità e certificazioni, i cittadini che ritengono di essere stati in zone a rischio o a contatto con persone che provengono da quelle zone dovrebbero operare con prudenza e, magari, farsi visitare, che deve prendere decisioni che stia meno sui social o in televisione e maggiormente laddove la presenza operativa è richiesta al fine di prendere le migliori decisioni per tutti. Oggi che tutti sono diventati virologi oppure epidemiologi (come se fosse questione di fare una formazione della Nazionale…) rimangono le decisioni e le riflessioni a scandire il tempo. Intanto in pochi si sono accorti che negli ultimi anni sono aumentate le bronchiti e le polmoniti. Probabilmente non aiutano né il clima né l’inquinamento così come i virus aggressivi per le vie aeree. E i virus, come noto, si modificano nella loro struttura interna e quando la mutazione è più rapida del previsto, come in questo, caso, diventa più difficile trovare soluzioni. Poi ci sono i banali comportamenti umani che, quando scadono in maleducazione (starnutire in pubblico, evitare di curarsi, prendere antibiotici “ad minchiam”, non lavarsi le mani e via dicendo) il risultato, è inevitabile.

Una buona igiene, come avevano scoperto i grandi scienziati della medicina di fine ottocento/primi del novecento, evita un sacco di guai…A volte anche il banale areare bene i locali in cui si vive o si lavora evita problemi (anche se oggi negli uffici vige la regola di facciate continue senza aperture e condizionamento a ciclo chiuso. Il resto, se non si opera con adeguate sanificazioni, lo possiamo immaginare…La legionellosi da aria condizionata è nota dagli anni ’70). Poi c’è la capacità del servizio sanitario di ospitare un numero adeguato di pazienti in terapia intensiva. Come abbiamo visto il problema maggiore non sono le vittime (che, per altro, avevano già in corso, purtroppo, patologie significative), bensì la possibile emergenza di posti letti per pazienti gravi. Questo il vero spauracchio del servizio sanitario nazionale e delle Regioni a rischio che, pur nelle loro capacità e qualità, sanno di non poter reggere se il problema aumenta in quantità e gravità (poi andremo a chiederci come mai si parla solo di sanità pubblica e non di quella dei privati. Uno dei misteri del nostro Paese…). Abbiamo ora anche il problema dello stigma dei Paesi esteri che ci rimbalzano quasi fossimo un Paese di appestati e questo anche grazie ai titoli di alcuni quotidiani che non hanno badato a caratteri per terrorizzare i loro (pochi) lettori. E all’estero basta il titolo…Purtroppo (o per fortuna) questa reazione ci fa capire che quando si adottano mentalità e pensieri di grettezza alla fine, prima o poi, il rimbalzo del contrappasso arriva. Che questa lezione ci renda consapevoli che se qualcuno “vive” un guaio, costante oppure momentaneo, più che lo stigma e l’ostracismo può fare la condivisione ragionevole e la partecipazione attiva a risolverlo vista la interconnessione ormai assoluta tra le genti che popolano il Pianeta (per quanto ancora…?).

Per penultimo (lasciando da parte lo sciacallaggio dei prodotti razziati e rivenduti a dieci volte il valore, a coloro che truffano gli anziani, a chi immette nella rete notizie fase e terroristiche…tute condizioni che meritano giuste, dure, irrevocabili punizioni), una riflessione va fatta circa coloro che, presi da immotivato panico, hanno “svaligiato” i supermercati manco fosse in arrivo la peste nera o la guerra nucleare rendendo evidente la fragilità psichica delle persone “normali” che ora hanno riempito casa, cantina e freezer di prodotti senza nessun reale bisogno ma spinti da un istinto di sopravvivenza che nemmeno in tempo di guerra (che i nostri genitori e nonni hanno vissuto sulla pelle…).

Per ultimo…il ritorno alla normalità. Perché il nostro disgraziato Paese non ha bisogno di turisti in fuga, neanche di fabbriche chiuse, neppure di metropolitane e mezzi pubblici vuoti (uno o due giorni va bene, si respira…ma poi), nemmeno di eccessivo telelavoro che potrebbe, alla fine, ritorcersi non tanto contro i lavoratori che un lavoro ce l’hanno bensì contro coloro che tali vorrebbero diventare. Inoltre, nella vita di lavoro “esterna”, si muovono varie realtà oggettive che danno lavoro: gli uffici nell’affittanza e manutenzione, i locali in cui si mangia, le edicole (già in difficoltà di loro…) che il passaggio di persone, e via dicendo…E senza dimenticare tutti i luoghi pubblici e della cultura, i luoghi del divertimento, i musei…La nostra economia è purtroppo molto precaria e quello che si deve evitare è di renderla ancora più instabile. Al di là della polemica politica (veniamo da un’elezione che ha dato vita a due Governi di differente impostazione…), con un PIL in difficoltà, con le crisi produttive (Ilva su tutte…), con la precarietà del lavoro…Insomma, sappiamo tutti cosa non va…e sappiamo che non possiamo permetterci di fare errori. Quindi si osservi bene lo sviluppo del virus (ma un “banale” algoritmo che ne misuri la diffusione e lo sviluppo futuro non l’ha ancora inventato nessun matematico…?) e si prendano le opportune misure di studio, contenimento, prevenzione e cura per fare ritornare il Paese e, soprattutto, Milano, alla vita “ordinaria” utilizzando, però, questa situazione come occasione per rivedere la scala di valori complessiva con cui misuriamo lo standard di vita complessiva, i valori della vita, l’importanza della socialità, della condivisione, della solidarietà. E per ultimo comprendere che i valori su cui oggi poggia l’economia di tutti i Paesi non funziona e se è sufficiente un virus a mettere in crisi il Pianeta significa che dobbiamo cambiare tutto. Questi sono avvisi, campanelli di allarme, indicazioni perentori. Se non saremo in grado di ascoltarli arriveranno i “messaggeri di sventura” ad annunciare l’apertura dei sigilli del Libro…

In cammino

In una società sempre più intrecciata e fitta di relazioni (sulla cui qualità è spesso opportuno dubitare) quando si manifestano eventi quali quello del Corona Virus, ci si accorge che la divisione, lo stigma e la paura verso l’altro (ora non serve più essere straniero, basta un colpo di tosse o uno starnuto…), il timore del contagio e di diventare parte “del mondo dei malati” e degli “emarginati” fa saltare ogni convinzione ed ogni sicurezza e si dà vita e voce alle paure ancestrali. Parte la caccia “all’untore”, si cercano le mascherine (anche quelle inutili), si fa incetta di disinfettanti (lavarsi bene e con cura le mani con il sapone, sempre, no…?), si assaltano i supermercati (e c’è chi sorride ancora al ricordo dell’assalto ai forni ai tempi della peste seicentesca, come ben racconta Alessandro Manzoni in quel libro “summa teologica di vita” dal noto titolo…), si guarda tutti con sospetto e, magari, ci si barrica in casa…Questi timori, anche giustificati in certi luoghi (ospedali, luoghi molto affollati, caserme, uffici pubblici, scuole, etc.), ci raccontano di un Paese spaventato, di persone che fingono di essere ciò che non sono, di un benessere instabile, pronto a cadere in ogni istante a causa degli eventi. Anche di eventi che sorgono a miglia di chilometri di distanza perché oggi, davvero, il famoso battito d’ali di una farfalla a Pechino può portare danni a Milano (e non solo). Questi anni tumultuosi, dove alle incertezze della vita (precarietà nel lavoro, riscaldamento globale, difficoltà nei rapporti inter-famigliari, femminicidi, dipendenze d’ogni tipo e via dicendo…), si è cercato di dare sicurezza con l’ausilio della dipendenza da social dove ciascuno, per qualche istante, si sente il padrone del mondo e del pensiero o dove è possibile scaricare rabbia e frustrazioni con parole taglienti e, spesso malvage….

Quello che stiamo osservando è una fotografia di un tempo sospeso da studiare con molta attenzione perché, come spesso accade nella storia, vi sono momenti in cui si aprono nuove strade per comprendere il funzionamento della psicologia (o psicopatologia) delle masse oggi ancor più manipolabili di un tempo. Se penso ai piccoli paesi del sud (non solo, ma soprattutto…) in cui la radio, al tempo del fascismo era l’unico veicolo di informazione di massa (per chi l’aveva, ovviamente…) penso che ci si potesse opporre col non ascolto oppure con l’utilizzo della tradizione popolare e contadina depositaria di un sapere che esulava la nozione ma era ancestrale e, immerso nella vita della terra, poteva percepire un che di “stonato” nelle affermazioni roboanti del regime. Oggi, paradossalmente, è peggio in quanto l’informazione non esiste più: esistono le informazioni che si sovrappongono e confondono, lucidamente, chi vuole capire e, spesso, anche avere una cultura media o anche di qualità non rende immuni dal cascare nel tranello di chi diffonde, scientemente, quelle che un tempo venivano chiamate “bufale” mentre oggi l’inglesismo di “fake news” vorrebbe quasi nobilitare una bugia. Ma tale resta…Ma questa non è l’unica immagine che viene in mente…Anche la solidarietà famigliare ed amicale ha avuto la sua delegittimazione da una società che vuole essere sempre più frammentaria e spezzata dove “l’io” è il valore assoluto che “il sistema” può piegare a proprio piacimento mentre altro sforzo è necessario per piegare una comunità solidale.

Si può guarire da questa esaltazione dell’Ego? Si, è possibile, ma lo sforzo maggiore lo devono fare quelli nati negli anni ‘50 e ‘60 (ma sempre loro…?) che hanno vissuto in tempi particolari: con l’eco ed i racconti della guerra, senza averla vissuta direttamente. Che hanno visto i propri genitori fare la spesa contando le lire ed acquistando solo quello che era nella lista accuratamente preparata a casa. Che quando andava in cortile o all’oratorio cercava sempre gli amici del gruppo per giocare. Che quando arrivava l’estate era un dramma perché c’era chi andava in colonia oppure due settimane al mare e chi no e allora si “rompeva” la comunità. Che c’erano gli amici e non l’amico o l’amica e se qualcuno andava in ospedale lo si andava a trovare. Anche in troppi. Che quando qualcuno aveva bisogno c’era attenzione e nessuno moriva da solo. Comunità è una parola semplice e non magica, che necessita di attenzione e di sacrificio ma è un investimento sicuro, perché come cantavano i Beatles “l’amore che ricevi è uguale all’amore che dai…”.
Noi siamo un “animale sociale” che necessita dell’altro per vincere le nostre paure ancestrali. Abbiamo bisogno di tribù e di riti per sentirci sicuri e altruisti. Dobbiamo però imparare ad evitare di considerare le altre tribù ostili e comprendere che, come recitava il grande Thomas Elliot “la paura sta in una manciata di polvere” e che quindi o ci salveremo insieme oppure, non ci salveremo…

La grande mietitrice

Quale riflessione per quanto sa accadendo? Innanzitutto la certezza che quando si fa il proprio dovere i guai si attenuano. E qui il pensiero va alla mala gestione iniziale da parte delle autorità cinesi che, come sempre accade nei regimi autoritari i problemi non esistono e i treni arrivano sempre in orario. Se si fosse dato ascolto al medico che per primo alzò la mano segnalando seri problemi sanitari nel suo ospedale probabilmente staremmo raccontando un altra storia. Ma nei regimi non si può disturbare il manovratore…

Ora il virus, dopo aver mietuto migliaia di vittime, si è spostato (e come pensare che non sarebbe avvenuto…?) con le differenti problematiche legate alle consuetudini dei vari Paesi. Sia sanitarie che di mentalità. Quello che stiamo vivendo, oltre che un problema sanitario, è anche un problema sociale ed economico. Ma, forse, anche di una differente consapevolezza rispetto alla difficoltà umana nel guidare, in maniera razionale e non emotiva, le situazioni di pericolo.

Lo sguardo alle immagini delle code nei supermercati e agli scaffali “depredati” pone il quesito della psicopatologia labile delle masse rispetto a pericoli o presunti tali di quarantene e penuria (ipotetica e non suffragata dalla realtà) di beni di prima necessità. Nasce una riflessione: e chi è anziano e solo e non può fare la spesa in quantità cosa farà? E agli “svaligiatori” nulla interessa degli altri che, magari, abitano a fianco? E’ a società del consumo e dell’eccesso che non trova pace e si arrotola su se stessa rendendo le persone incapaci di sentirsi parte di una comunità dove, come accadeva un tempo, si era capaci di condividere pur nella difficoltà e povertà. Ma ora, non più. La società dell’abbondanza a travolto remore vergogne e quello che conta è accumulare. Anche se poi molto si butterà via. e vedere le decine i bottiglie d’acqua riempire i carrelli fa pensare…che qualcuno si sia accorto che in casa manca l’acqua, come ancora nei primi decenni del ‘900 nelle aree rurali..?

Il virus più pericoloso è dentro di noi..è quello che non ci fa comprendere la realtà, che ci ossessiona con la paura, che ci rende “lupi tra gli uomini”. Il virus più pericoloso è quello che rende tutti nemici (basta osservare gli sguardi sui mezzi pubblici…), che rende alcuni sciacalli verso l persone anziane e deboli con tentativi di truffe, che alzano i prezzi in maniera immotivata se non il desiderio del guadagno. Anche il giorno dell’Apocalisse ci sarà chi continuerà a imbrogliare ritenendosi eterno ed immortale…

Milano, la grande città, la città dei record e dell’innovazione, sta vivendo un momento difficile. Un momento inatteso e estraneo. La peste l’ha vissuta secoli fa ed ancora nel Tempio di San Sebastiano ogni anno si celebra una Messa in ricordo così come la presenza di vari cippi ricorda i luoghi delle processioni di intercessione. Milano ha già subito tanti momenti di “ansia” ma l’ha sempre salvata la capacità di mantenere l’unità di intenti tra “diversi” consapevoli che ci si salva insieme e non da soli. Si guarisce insieme a chi cura e non abbandona gli altri al proprio destino. Alcune critiche, alcune aspre altre sagge, sono piovute ai responsabili delle decisioni prese. Non so dare un’opinione che abbia valenza oggettiva. Vedremo alla fine di questa settimana come si è evoluta la situazione. Certo che pare una sorta di beffa (o di induzione alla riflessione) che la riduzione della vita sociale sia intervenuta proprio nella settimana “più allegra” dell’ano. Un caso oppure un segnale perchè si possa, tutti, avere miglior tempo per riflettere sul senso vero della vita….?

Per ora l’augurio che il vento passi rapido, che gli operatori sanitari siano aiutati a gestire al meglio le emergenze e che non li si lodi solo quando servono, che i virologi siano capaci di dare responsi quanto più unitari senza dividersi in maniera “evidente” disorientando l’opinione pubblica, che la politica sia capace di comprendere e decidere se si è in posizione di responsabilità e di criticare in maniera costruttiva e non “sciacallante” se si è all’opposizione…Perchè la ruota gira…E, soprattutto, ricordarsi che non si è eterni nè onnipotenti e che un microscopico elemento può ricordarcelo in ogni istante della nostra vita…

Smarrimento

Il tempo assente, il tempo immobile, il tempo che non si espande, il tempo che è sempre simile a se stesso. Ci si guarda intorno, ci si guarda dentro, ci si accorge che esiste una solitudine vera ed una che viene indotta dall’interno di se stessi. Quanto stiamo vivendo è un fatto epocale che deve aiutarci a renderci migliori, diversi, nuovi. Questo virus è arrivato come una bomba nucleare all’interno del nostro mondo che deve ricercare non sono gli anticorpi per superare la malattia ma, soprattutto, gli anticorpi per cambiare prospettiva nella visione del mondo, della vita, dei rapporti sociali. Come tutti i virus è invisibile e, quindi, subdolo. Sta distruggendo vite umane, vita famigliare, salute nel lungo periodo per gli anziani contagiati e sopravvissuti. Sta interrompendo consuetudini e vita sociale. Siamo nella dimensione della negazione e della paura, reale o immotivata. La negazione di chi pensa di essere immortale e che non si ammalerà costringendo, poi, in caso infausto, altre persone a rischiare la vita per lui. Dall’altra parte vi è la dimensione di chi viene annichilito, nel suo profondo, da una paura eccessiva che lascerà profondi segni dentro di sé.

Oggi siamo nella condizione di osservare che la normalità non esiste più. Chi ha visto un parente, un amico salire, magari su un’ambulanza, e poi non ha più potuto vederlo nemmeno nella morte ne rimarrà turbato per sempre. Chi, credente, non ha potuto avere un funerale religioso lascerà a chi rimane una sorta di senso di colpa per non aver potuto provvedere. Sono tempi duri, certamente, ma non devono essere tempi inutili perché altrimenti significherebbe non solo non aver compreso una lezione della Storia ma, soprattutto, non saremo stati in grado di utilizzare un grande dolore affinchè il futuro non sia ugualmente tetro come quanto oggi stiamo vivendo. Questo significa ripensare la sanità in maniera integrale su tutto il nostro territorio, significa mettere a fuoco nuove modalità di lavoro, significa mettere a frutto competenze scientifiche a livello mondiale per prevenire nuove situazioni di contagio che, certamente, arriveranno. Perché è chiaro che Sars, Mers e Cov-19 sono figlie di mutazioni all’interno del pianeta dei virus che sono organismi organici che lottano per sopravvivere e noi, esseri viventi, siamo i suoi veicoli ed elementi di sopravvivenza. Questa è la realtà e se non saremo pronti (e ora abbiamo dimostrato, tutti, di non essere preparati) rischieremo di soccombere data la ormai potente urbanizzazione e la mobilità assoluta che “governa” le nostre vite.

I virus si salvano e prosperano se cambiano in fretta. Noi dobbiamo essere più veloci: cambiare, modificare stili di vita, riprogrammare il modello di sviluppo, mettendo in fila le priorità in quanto, come la realtà sta dimostrando, quelle attualmente vigenti non sono né le migliori né quelle che fanno progredire l’umanità intesa non come nucleo economico (basti pensare alla redistribuzione percentuale della ricchezza) bensì come elemento di costruzione di una dinamica di relazione che sappia superare lo stato attuale e reale delle cose. Questo sistema non funziona più. Questo era chiaro da tempo ma nonostante gli allarmi (vedi Greta…) ma chi governa (ma non solo vista la continua presenza di persone per le strade, senza motivi reali…), le grandi corporation economiche, la struttura economica mondiale, non ha mai posto il tema di cambio di modello. Tutti ad inseguire quello che pare l’imperativo di fondo: arricchirsi. Chi tantissimo, chi tanto, chi il giusto, chi poco, chi niente…Questa la realtà.
Ora che siamo di fronte ad una svolta epocale, che il mondo, il nostro Paese, la nostra Lombardia (poi gli scienziati dovranno aiutarci a capire le ragioni della potente virulenza del virus nel nostro Paese…) sono sotto stress in ogni senso, ora dobbiamo riflettere e fare riflettere. Dopo non potrà, non dovrà più essere come prima. Noi stessi non dovremo più essere come prima. Dovremo reimparare ad apprezzare le “cose minime”, le cose scontate come la vista di un famigliare, l’incontro con un amico, l’abbraccio con una persona care, il bere un caffè in compagnia, l’andare al cinema o ad un concerto. Anche poter andare ad un funerale, perché no…? La Storia ci sta insegnando, con vittime, privazioni e paure che il cambiamento è necessario, è vitale, è il futuro…

Osservare

Scriveva la grande Flannery O’Connor, narratrice americana ispiratrice di alcuni brani di Bruce Springsteen, che “il mistero crea un grave imbarazzo per la mentalità moderna”. La O’Connor non è state un’autrice prolifica e nemmeno di facile lettura ma, comunque, fortemente intrisa di realismo e di profonda commozione nel leggere le storie degli uomini e delle donne “gettate” sul palcoscenico del mondo. Che è violento, che è “malato” ma che, comunque, può essere, secondo la sua visione del mondo, redento. Ma questa redenzione può mettersi in moto solo se ci si ritrova a dialogare con il mistero, se si ha la capacità di fare silenzio nel proprio intorno accorgendoci che il mondo e la storia hanno bisogno di silenzio, di mistero e ciascuno di noi di consapevolezza di sé e dell’altro che ci sta vicino, che ci circonda che, spesso, ci tormenta. Il silenzio è una dimensione persa che dobbiamo recuperare prima che se ne perda la memoria. Il silenzio è qualcosa che proviene da altre dimensioni, che ci avvolge, che ci può anche inquietare ma che, nel contempo, può affascinarci. Perché è misterioso e, quasi sempre, sconosciuto. Nel silenzio, dal distacco dall’immediato e dalle sue presunte priorità, è possibile trovare brandelli della propria essenza e, anche, del proprio passato attraverso cui è possibile risvegliare il senso della propria storia. Siamo immersi dal rumore, dai suoni, dalle parole, dalle immagini, dalla fruizione, anche non voluta, di mondi che entrano in noi senza essere stati invitati. Abbassare la luce, abbassare il suono, abbassare il numero di parole, abbassare la volontà di “potenza” che alberga in ciascuno di noi può essere la chiave per ritrovarci e ritrovare gli altri, con i loro difetti, bisogni, solitudini, inquietudini. Le stesse che ciascuno di noi si porta dentro, cercando, però, di trovare il modo di condividerle per avere un fardello emotivo meno precario. In questi giorni si parla molto della necessità di essere solidali. Ma la solidarietà nasce dentro ciascuno come gesto libero e senza la ricerca di riconoscimenti. Ma nulla nasce dal caso o dalla innata spontaneità (salvo in casi rari…) ma da un percorso di vita che ti mette di fronte al fatto che non esistiamo per noi stessi ma perché intorno a noi ci sono altre persone e quando si rompe il tabù “tribale” di cui l’uomo è prigioniero, allora arriva la consapevolezza che, come scriveva il poeta John Donne in “Nessun uomo è un’isola”, “quello che faccio viene fatto per gli altri, con loro e da loro.

Quello che essi fanno è fatto in me, da me e per me. Ma ad ognuno di noi rimane la responsabilità della parte che egli ha nella vita dell’intero corpo”. La traduzione è molto semplice: siamo interconnessi, tutti, e ciò che viene compiuto in favore di qualcuno (o contro qualcuno) alla fine ritorna. In positività e costruzione, in negatività e distruzione. Allora la mancanza di parole, il silenzio, l’immergersi in se stessi può diventare atto di generosità per gli altri perché mette a tacere le parti “prepotenti ed egoistiche” di ciascuno di noi per comprendere che siamo parte di una grande unità e che, non dimentichiamolo, il nostro è un tempo limitato e finito e noi non ne siamo padroni. Per questo, proprio in momenti così duri e pesanti, dobbiamo aprire le porte al mistero perché ci aiuti a guardare la vita con uno sguardo più ampio, che sappia abbracciare, tempo, spazio, persone ed eventi in maniera più ampia di quanto, invece, spesso accade, quasi che ci autolimitassimo, per chissà quale ragione, nello sguardo verso l’infinito, accettando ed accontentandoci di quello che il quotidiano e l’andamento del mondo ci propone e a cui non sappiamo rinunciare, anche se al ribasso rispetto alle possibilità.

Ma, come scrive la O’Connor, se ci lasciamo prendere, afferrare e soffocare dalla modernità non avremo più le chiavi per comprendere il mistero. Oggi migliaia di medici, infermieri, operatori di varia natura e competenze sfidano la morte incontrando il mistero del “regno di mezzo”, del passaggio dalla porta che dalla vita porta alla morte (“La porta dello spavento supremo”, come Battiato intitolò un suo brano). Ma se non si è consapevoli di questo mistero, del secondo mistero più importante dopo quello della vita, anche il più grande gesto di abnegazione “rischia” di rimanere con i piedi fortemente legati alla “materialità” dell’esistere senza comprendere fino in fondo che le radici sono solide soprattutto quando si trasformano in ali…

L’ignoto

Invisibile…Oggi quello che ci tormenta ed uccide è invisibile. Il nostro mondo che del reale ha fatto la sua bandiera, il suo punto di riferimento, la sua ragion d’essere, la separazione del vero dal falso è ora soggiogata dall’invisibile. Certo, a qualcuno questo invisibile è noto. Agli scienziati, medici, virologi, epidemiologi. E’ il loro lavoro e ci sono abituati. Ma a noi, alla gente comune, non vedere il nemico, il non avere coscienza della sua posizione, il non poter essere messi sul chi va là rilevandone la presenza…ecco, questa forma di invisibilità ci costringe e ritornare al tempo dell’infanzia dove la conoscenza era limitata e dove, magari, qualcuno ci parlava di ombre oscure ci osservavano invisibili. Poi siamo cresciuti a abbiamo compreso che esiste solo ciò che è tangibile, che possiamo vedere, con cui poter avere una “relazione”, con cui incontrarci, scontrarci, combattere e, magari, soccombere. Ma che si poteva vedere…Ora il senso dell’invisibile ci ha nuovamente preso di sorpresa…Nuovamente? Certo, perché nel secolo scorso abbiamo incontrato l’influenza spagnola che ha fatto milioni e milioni di morti. Quella asiatica, che ne ha fatti migliaia. E prima ancora la peste, flagello dell’Europa medioevale e post Rinascimento. E nel nuovo secolo l’aviaria, la Sars, la Mers, Ebola…Tutti nemici invisibili (ai più…) che hanno contribuito a spaventarci fino nella nostra delle più intime convinzioni circa l’inarrestabile vittoria del progresso sulle malattie e sulle paure ancestrali. Ma le paure non se ne vanno per decreto, non ci abbandonano se qualcuno decide che, comunque, “tutto andrà bene”. Le paure sono nel nostro DNA e non bisogna esorcizzarle bensì combattere l’invisibile che ci opprime, sia che ne siamo colpiti sia che a cadere siano altri. Perché è il terrore che capiti a noi a destabilizzarci…Alcuni medici ed epidemiologi in tempi non sospetti, anni 2018/2019, avevano redatto uno studio che riportava “interessanti” prospettive riguardanti le future (anzi, prossime) pandemie influenzali. In pratica il Covid-19 era stato già avvistato anche se non lo si conosceva. Grazie al lavoro oscuro e non gratificato di alcuni scienziati, si era prevista questa pandemia (nelle analisi degli algoritmi sarebbe stata più disastrosa…) ma nessuno ha deciso di prevenire. Anzi, gli “amici” Cinesi, all’inizio hanno messo il coperchio alla pentola in ebollizione sanzionando e punendo chi aveva lanciato l’allarme…Ora vengono in nostro aiuto e li ringrazieremo a tempo debito, però…non è questo il modo migliore per essere parte di un mondo globalizzato che vedrà altre di queste condizioni per almeno cinque validi motivi: l’incremento dell’inquinamento che riduce le capacità polmonari e veicola meglio i virus, per l’uso eccessivo degli antibiotici, lo stress del sistema nervoso che si ritorce sul sistema immunitario, sul disboscamento che sempre più mette a contatto le specie animali selvagge con l’uomo aumentando il rischio del salto di specie, l’elevato costo degli interventi economici per fare fronte all’emergenza del momento. Solo cinque i motivi per il momento. Ma altri sono dietro l’angolo, invisibili ai nostri occhi ma che diventeranno evidenti, nelle risultanze (nefaste) al momento opportuno. Questo che stiamo vivendo è un tempo irrisolto: ora siamo in mezzo ad un guado e non sappiamo che cosa troveremo sotto i nostri piedi. Toccheremo sempre il terreno…? Riusciremo a combattere la corrente nel caso dovessimo nuotare…? La temperatura dell’acqua non sarà troppo fredda…? Chi troveremo dall’altra parte se ci arriveremo…? Ci guardiamo intorno e vediamo gente impaurita, smarrita. Ma anche “follemente” convinta che siamo nel tempo migliore per cominciare a vivere senza condizionamenti; salvo poi sapere che il momento magico è durato il tempo di una risata sbilenca. L’invisibile è accanto a noi e sappiamo che se ci tocca può farci molto male. Dobbiamo trovarlo e renderlo visibile, attaccarlo e distruggerlo perché noi si possa rimaner visibili. Ancora per il giusto tempo….

Negazione

Finzione.. Potrebbe essere tutta un’immensa finzione. Una sorta di Truman Show all’ennesima potenza…Oppure, come nel film “L’invasione degli ultra corpi”, una specie aliena si sta impossessando del Pianeta grazie a questo virus nuovo e sterminatore…Oppure si tratta di un esperimento per la limitazione della popolazione come ben descritto nel libro “Inferno”, di Dan Brown…Potrebbe essere tutta una finzione e nessun virus è sbucato dal corpo di un pipistrello…nessuno si è accidentalmente contagiato in Cina…No, è tutta una finzione e prima o poi lo scopriremo. La terra è piatta, i vaccini fanno male, l’uomo non è mai stato sulla luna Elvis Presley è ancora vivo e i treni, un tempo, arrivavano in orario…L’armamentario dei novelli Asimov o Dick è sempre ricco di alternative, di possibilità, di sguardi obliqui nei confronti della realtà e della Storia…Purtroppo la realtà è cosa diversa dalle immagina della cisterna, “fotografata in Kansas”, con la scritta ben visibile “Covid-19”. E’ tutta una cospirazione, sempre, quando non si riesce a comprendere la genesi delle situazioni, quando non si riesce ad affrontare in maniera efficace un problema, quando la ragione apre la porta all’irrazionalità ed alla paura. Nel corso della peste milanese del ‘600 il Cardinale Federico Borromeo, cugino di San Carlo Borromeo, intraprese una serie di processioni attraversando la città e pregando in varie piazza dell’epoca (alcune ricordate ancora oggi con apposite stele. Ovviamente il contagio aumentò perché la processione avvicinò le persone che si contagiarono ulteriormente. Poi tutto finì…e nessuno, nella generazione successiva si ricordò…Ma quando non si aveva contezza della scienza era facile dare la colpa a qualcun altro, all’untore, come ben racconta Alessandro Manzoni ne “La colonna infame”. L’untore come interprete della finzione di quanto non si comprende o non si vuole comprendere. La finzione per correre, liberi, nei parchi perché “a me non accadrà, sono in forma…”. La finzione di chi esce più volte al giorno perchè “devo fare la spesa…la devo fare per mia mamma…per mia nonna…”; la finzione nel non ascoltare i colpi di tosse, la temperatura che si alza, quei dolori alle ossa…perché “è meglio non dirlo altrimenti non posso andare a…non posso incontrare…”. E la finzione si propaga, e tanti si contagiano, e molti, moltissimi, troppi muoiono. E gli Ospedali si riempiono, i medici e gli infermieri si ammalano, e i costi sociali salgono, e quelli economici esplodono. Ma, all’improvviso, il gioco si disvela in tutta la sua insostenibile realtà: non c’è più finzione quando l’ambulanza accende la sirena per l’ennesima volta. E quel suono è per te. Non c’è più finzione quando il ticchettio delle macchine, ritmico e incostante, continua a battere nel cervello. E quel cervello è il tuo. Non c’è più finzione quando i letti accanto al tuo si svuotano e si riempiono, si svuotano e si riempiono, si svuotano e si riempiono. E tu non sai se il tuo rimarrà a te oppure passerà ad un altro. Non c’è più finzione quando il pensiero corre verso la vita e ciascuno si aggrappa come può a ciò che ritiene dargli più forza. Affetti, ricordi, speranze, Dio…E non c’è più finzione quando senti la campane che suonano, a distanza eppure sempre più vicine perché sono campane dai rintocchi che ben si temono…Se la finzione è uno dei totem del nostro mondo, del nostro esistere, del nostro relazionarci allora è bene aprire gli occhi e richiamare tutto e tutti al bisogno di verità, di trasparenza, di onesta. La finzione è bene incontrarla al cinema, nella letteratura, a teatro, nelle canzoni. Ma nella vita no, nella vita è indispensabile, importante, necessario, vitale allontanare la finzione, allontanarci da questo demone che tutto pervade e tutto distrugge, come un virus. Il vaccino lo conosciamo: si chiama verità…

Fino a quando…?

Salvo i comandati per ragioni di lavoro indispensabile e gli irresponsabili siamo tutti ai domiciliari. Un momento di impedimento ma, anche, di riflessione. C’è la preoccupazione per la salute, l’economia, il lavoro. Certo, tutto assolutamente reale e concreto. Vero e condivisibile. Si tratta dei tre elementi che tengono in piedi la vita di ciascuno e della comunità intera. Poi viene da riflettere sul senso della ricchezza (alla fine siamo tutti vulnerabili, come nelle epidemie del passato quando peste, colera, tifo, spagnola ed altre epidemia si infilavano nella sale dei Re e delle Regine). Una ricchezza quasi sempre non condivisa e tenuta gelosamente per sé e per la propria tribù famigliare. Poi viene da riflettere sul senso di una economia che non funziona più perché il capitalismo, come l’economia pianificata di sovietica memoria, ha fatto il suo tempo e deve essere sostituita con un diverso modo di vivere le dinamiche della crescita e dello sviluppo. Il modello di accumulazione del capitale ormai non funziona più. Carlo Marx, pur con i suoi errori teorici, l’aveva capito già a metà dell’ottocento. Poi sarebbe intelligente leggere la società e la storia con occhi diversi.

A suo tempo Al Gore aveva spiegato bene cosa avrebbe comportato continuare in un certo modo per il cambiamento climatico. Lo hanno irriso come un “capitalista sfigato”. Bill Gates ha spiegato bene in un video del 2014 che saremmo stati sterminati da un virus. Non è servito a nulla. L’imperativo era fare fatturato, crescere, fare dividendi…Ora ci accorgiamo che si può morire senza essere andati nella jungla come Indiana Jones, che il nostro vicino di casa, un nostro amico, medico o infermiere che sia rischia la vita come anche i volontari delle varie croci di soccorso, che il virus è ancora sconosciuto e che, come tale, rimarrà un’incognita per mesi se non anni. Ora ci accorgiamo che i problemi veri esulano dalle paure inflitte agli italiani da una certa politica e che nessuna presunta precedente emergenza aveva costretto un Paese (tanti Paesi) a chiudersi in casa in clausura forzata. Ora scopriamo che tanti nomi che abbiamo sul telefono magari non li vediamo da tempo e ci farebbe piacere incontrali e salutarli con una stretta di mano o un abbraccio. Ora sentiamo che la vita è fatta di tante piccole cose e che quelle più importanti erano state messe in un ordine sparso non necessariamente in quello dovuto. Ora…e domani…? Domani cosa faremo?

Domani, quando (speriamo presto) la paura sarà passata e avremo contato i morti, i feriti, i deprivati psicologicamente (che saranno molti, tantissimi, una miriade…), i danni all’economia mondiale e personale, cosa accadrà? Ci sarà l’intelligenza di ripensare alla nostra vita in termini diversi? Ci sarà la capacità di rimettere priorità ed affetti nel giusto ordine? Ci sarà la capacità da parte di Governi e Nazioni di cambiare lo stile e le ragioni di vita per indirizzare i popoli ad altri obbiettivi ed ambizioni? Ci sarà da parte di ciascuno di noi, delle persone normali, dei cittadini, del popolo, la capacità di non farsi “corrompere” dalla vanità del mondo comprendendo che un affetto, un’amicizia, uno sguardo alle montagne o un viaggio per mare, la lettura di un libro, la condivisione di momenti “veri” e di sincerità, il vivere in un contesto di comunità possono essere il segno vero e profondo di una differenza di approccio verso l’altro, verso se stessi, nei confronti del Pianeta, della vita tutta. Dovremmo diventare più consapevoli del fatto che la comunità è sempre più forte dell’unità, seppure la più straordinaria, e che la vita, la vita di tutti, ha un tempo definito e/o definitivo. da questo non si sfugge e proprio per questo tutti dovremmo essere capaci di andare oltre l’immediata convenienza, il desiderio di “accaparrare”, la smania del possesso, per comprendere quando migliore potrebbe essere la vita di tutti. Qualche secolo fa a un viandante perso nel deserto vennero consegnate delle regole di vita. Non erano molte. Non erano e non sono difficili da seguirle. Basta volerlo, basta non farsi sopraffare dal desiderio. Che non è eterno…

Ripensare

Questi giorni, forse e solo per alcuni, saranno importanti per rimettere al centro i veri valori della vita, il senso profondo degli affetti e la giusta attenzione “alle cose”. Quando ci si accorge che un essere infinitesimo può decidere della vita e della morte di migliaia, di milioni di persone ci si rende conto di quanto il resto sia davvero molto fragile. Mia mamma era meravigliata quando, arrivando a Milano, vide l’acqua scorrere dai rubinetti. E con lo scaldabagno era anche calda. Lei che era abituata ad andare a prendere, con le sue sorelle, alla fontana della piazza. Come migliaia e migliaia di sue coetanee. Oggi, forse, ci si rende conto di quanto fragili e falsi erano gli allarmi per situazioni che coinvolgevano poche centinaia, o anche migliaia, di profughi che scappavano e scappano dalla guerra mentre oggi osserviamo, senza sgomento ma con una sorta di etica rassegnazione, alla fuga da Milano di lavoratori e studenti che corrono verso casa, “tradendo” la città che li ha accolti e fatti crescere. Un tradimento senza senso e per questo non tollerabile. Così come è un tradimento, ma verso se stessi, l’affollare i supermercati accaparrando il possibile e lasciando magari le persone sole, deboli, fragili, con le briciole.

Come sempre, come se la civiltà e la solidarietà fossero scomparse all’improvviso. Ci sta raccontando molto questa crisi. Ci sussurra che la sanità pubblica è stata penalizzata perché altrimenti non si capirebbe sia la mancanza di posti in terapia intensiva che il bisogno di medici ed infermieri a migliaia. Se tutto andava bene, come la vulgata regionale racconta da decenni perché queste richieste? A nessuno è mai venuto in mente di ricordare le epidemie dei decenni, non secoli, precedenti? Ci segnala che anche la tenerezza di un braccio, di un bacio, la consuetudine di una stretta di mano può diventare una pugnalata, rompendo, così, consuetudini naturali delle persone. Ci fa capire che anche cose semplici, come entrare in un bar a prendere un caffè, oppure aggrapparsi ad un sostegno dei mezzi pubblici può essere pericoloso. Ci sorprende con la consapevolezza che ci è vietato andare al cinema, in un museo, allo stadio, in palestra, di svolgere le normali occupazioni del quotidiano o, comunque, a renderle imperfette, complicate, difficili. Siamo stati colti tutti impreparati perché l’obbiettivo era altrove. Guardavamo il dito e non la luna.

Seguivamo l’andamento del PIL o del campionato, l’esito delle elezioni in Emilia Romagna quasi fosse un’ordalia divina, eravamo già con la mente alle ferie, qualcuno già pregustava le Olimpiadi prossime ventura, altri, magari, il rialzo dei titoli di Borsa. Tante cose, attività, avvenimenti, eventi, situazioni…ciascuna ricca della sua dignità e assolutamente da rispettare: fanno parte della vita, del nostro quotidiano, del nostro essere, qui ed ora. Nel contempo, però, moltitudini si allontanavano dalla realtà profondamente umana cercando in altri lidi condizioni di vita più “moderne”: algoritmi, intelligenza artificiale, viaggi interplanetari. E invece ci si rende conto che le patate sono buone, che manca il burro, che i figli sono medici, che i nonni non stanno bene da qualche giorno, che non posso vedermi con i miei amici, che…Siamo un’umanità fragile che necessita di ritrovarsi convinta che solo la reale solidarietà cambia il mondo. E mentre il virus impazza e la scienza e l’abnegazione dei soliti “eroi” sconosciuti lo contrasta, in altri lidi, in altri contesti giovani, donne, bambini, uomini vengono annichiliti, uccisi, deportati in una tragedia senza fine quasi che di mondi ce ne fossero tanti e tutti separati e ciascuno di questi avesse vita indipendente. Ma così non è e dovremmo averlo capito

Varrebbe la pena rileggere, ogni tanto il libro dell’Ecclesiaste: saremmo sopraffatti dalla sua modernità…altrimenti avverrà che “Lungo le Torri di guardia…il vento cominciò a ululare…” (Bob Dylan, All along the watch tower)

Fragilità

Se una lezione dobbiamo imparare da quanto sta accadendo forse potrebbe essere opportuno rivedere due punti in particolare: la fragilità umana data soprattutto dall’incedere delle patologie dell’età che aumentano in termini di aspettativa di vita. Per questa ragione sarebbe opportuno “tarare” sulla popolazione over 65/70 misure sanitarie mirate in termini di adeguamento di attrezzature mediche e di supporto alla ricerca clinica per ovviare a quanto si manifesterà in futuro. Il cambiamento climatico è probabilmente parte in causa del problema e su questo tema sarà importante intervenire subito senza attendere il 2050 per l’eliminazione delle emissioni fossili. Il secondo tema è quello dello sviluppo della società. Il modello che “trascina” l’economia, capitalismo e globalizzazione, sta mostrando segni di cedimento. Sia in termini di produzione che di livellamento, verso il basso, di benessere. Se una società genera ricchezze stratosferiche mentre profughi vagano snelle tante terre di nessuno del pianeta, significa che qualcosa non sta funzionando bene.

Se le tecnologie tolgono il lavoro anziché renderlo superfluo per mettere al centro la persona con le sue ricchezze (e debolezze) significa che il sistema non funziona. Se nel nostro Paese ogni anno abbiamo bisogno di circa 65 mila persone, generalmente extra comunitari senza alcuna garanzia, per rendere possibile il proseguimento di attività di raccolta dei prodotti della terra, dalle fragole ai pomodori, dalle olive all’uva, significa che abbiamo un problema. Ma non l’abbiamo solo noi, è il mondo economico che deve riformarsi affinchè continui ad esserci vita sul Pianeta. Quando ero bambino nessuno avrebbe mai immaginato di vedere isole di plastica vagare nei mari del Sud oppure osservare lo sciogliersi del permafrost e delle nevi dei ghiacciai. Se ora questi eventi sono considerati “normali”, significa che abbiamo un problema. Il corona virus (un ospite del pianeta dalla sua creazione, come tanti elementi genetici che non si sono evoluti) Può diventare, almeno si spera, lo sparti acque tra un prima dove l’unica ragione d’essere è il profitto o il dopo dove l’unica ragione d’essere è la vita. “Dirai che sono un sognatore, ma spero che un giorno ti unirai a noi e il mondo sarà tutt’uno”. (Imagine, John Lennon)

Tempo al tempo

Due mondi…Una separazione netta…Questo è il nostro tempo, questo è ciò che siamo costretti a vivere. Di qui la vita, di là la morte…Un po’ come le tante storie che abbiamo letto sui lager nazisti: bastava un cenno e la vita si tramutava in morte. In questi giorni è l’incontro “sbagliato” che decide quale lato della strada si andrà a percorrere, di quale mondo si andrà a fare parte. il mondo del futuro oppure il tempo del passato dove qualcuno ricorderà e qualcun altro sarà ricordato. Molte sono le voci di questi giorni convulsi: voci di paura, voci di dolore, voci di liberazione, voci di speranza. Cantare una canzone oppure un’altra dipende solo dal caso oppure dalla prudenza. Oppure dipende dalla fortuna: di avere il sistema immunitario capace di difendersi dal virus, non avere particolari patologie. Oppure avere un sistema immunitario depresso e malattie patologiche che indeboliscono l’organismo. Oppure è fortuna pura per non essere entrati una certa stanza, non aver preso quella determinata corsa del bus o della metropolitana. O sfortuna per essere stati a contatto, magari per poco, con un contagiato, sintomatico omeno che fosse. la vita e la morte, la salute e la malattia sono spesso frutto di una serie di circostanze fortunate/sfortunate. E’ l’eterno dualismo della vita. Lo yin e lo yang, la danza di Shiva e Vishnu, il tempo del sogno e la realtà, il bene e il male, il karma perenne o il samadhi…Tutto è duplice, tutto è bianco e nero, tutto si trasforma e cambia di stato ma, alla fine, prende una forma, che lo vediamo oppure no. Di fronte a questi due mondi cosa possiamo fare? Come possiamo difenderci? Come possiamo entrarvi ed uscire senza rimanere intrappolati in quello oscuro…? Spesso non vi è una risposta univoca…non può esserci perché troppe sono le variabili e, purtroppo, i Santi hanno altro da fare che concedere sguardi misericordiosi all’umanità che sta distruggendo il Pianeta, l’esempio migliore del senso di perfezione. Perché una farfalla è perfetta, perché un fiume pulito è perfetto, perché un’aragosta del mar dei Caraibi è perfetta, perché un fiore e perfetto, perché un tuono è perfetto, perché…tante cose sono perfette, però…Due mondi, ai quali siamo chiamati ad appartenere. Due mondi che ci aspettano al varco: il mondo di chi è al di là del vetro, fermo, immobile, affidato alle cure dei medici e degli infermieri, alla funzionalità degli strumenti respiratori e quello di chi si trova al di qua di quel vetro, di quella linea di demarcazione che può cambiare, determinare un’esistenza, più esistenze. Due mondi dove le differenze non sono più di ceto o differenze economiche ma di possibilità anche genetiche, di opportunità che sfuggono alle regole o a qualunque ipotesi se non quella di abbandonarsi al mistero, ai suoi passi sommessi e sconosciuti. Senza perché, senza ragioni, senza possibilità di poter intervenire. Due mondi che si incontrano, si scontrano, si abbracciano, si separano. Due mondi nei quali si decideranno destini di vita, della nostra vita e dei nostri cari. Nonostante le nostre ritrosie o quant’altre scuse, questa realtà bussa alle nostre parte e ci ricorda che dobbiamo sempre scegliere da che parte stare ma, anche, cha a volte, la scelta non è solo nostra…

Per il ritorno

Sospensione…Arriva l’arbitro e manda tutti a casa…La partita è finita…Oppure no. Non va a casa nessuno. Tutti intorno a lui, in cerchio, ad ascoltare le ragioni della sospensione. E l’arbitro parla, illustra, spiega, racconta, ammonisce, ricorda, indirizza. Dice che questo è un tempo sospeso, un tempo nel quale dobbiamo fare lo sforzo di capire che alcune cose non sono consentite perché c’è una valida ragione. Tutti i giocatori obbiettano, così gli allenatori ed i tifosi. Ognuno con le proprie ragioni, tutte reali e condivisibili. Ma non sono sufficienti. L’arbitro ribadisce che il tempo deve rimanere sospeso. Ciascuno dei giocatori si guarda perplesso…”E adesso che cosa facciamo…?” sembra che chiedano al vicino oppure a se stessi…Già, tutti si sono allenati per raggiungere un obbiettivo, hanno speso soldi, hanno investito fatica e fiducia, si sono sottoposti a fatiche e privazioni ed ora…ora devono guardare il campo della competizione con occhi diversi. Via la palla da basket, via il pallone da calcio, lontano la palla da rugby, abbandonati i bastoni da hockey…non c’è posto né tempo per la gara. Ora ogni competizione è sospesa. Il tempo stesso è sospeso, anche il pensiero pare essere in condizioni di sospensione. Ma forse non è così…Ciascuno si osserva, ciascuno si interroga, ciascuno si volta verso i suoi passi e si accorge che non è solo un tempo sospeso. E’ una vita sospesa. Ma non da ora, da molto tempo. Lo spazio ed il tempo, ora, sono in una differente dimensione. Ricominciano a parlarsi e a parlare con chi li ha abbandonati. Non chiedono più permesso perché ora, con la sospensione della “normalità” anche ciò che tale non è appare con una luce, con una prospettiva completamente differente. All’improvviso ci si accorge che, come affermavano gli antichi aborigeni, esiste un tempo del sogno in cui il tempo e lo spazio sono vissuti in maniera differente da come abitualmente si pensa che siano. Allora questa sospensione potrebbe diventare un’opportunità, seppure intrisa di dolore e di sciagure, per ridarci la vista, per ricondurci all’udito, per restituirci la parola. Per ricondurci ad una dimensione che dovrebbe rappresentarci per quello che siamo realmente: persone. Non cose, non numeri, non cataloghi, non indirizzi postali, non consumatori, non soggetti anonimi, ma persone. “Solo” persone dotati di uno spirito che si chiama Vita. Allo scoccare della sospensione del tempo, allora, potremmo ascoltare lo squillo delle sette trombe, quelle che aprono i sigilli del Libro ed in quel momento capiremmo che in quella sospensione del tempo l’arbitro ha “gli occhi di brace” che potrebbero aprire quelle porte che, quasi tutti, tengono furiosamente chiuse all’imprevisto, al coraggio, al dovere, alla solidarietà, alla manifestazione del senso di umanità che, pure se nascosto, ci pervade nostro malgrado. “E ti vengo a cercare/anche solo per vederti o parlare/perché ho bisogno della tua presenza/per capire meglio la mia essenza…”. Forse in queste parole (auguri, oggi, Maestro…) c’è il senso della ripresa, della cancellazione della sospensione, del rimettersi a combattere, a lavorare, a giocare, ad amare, a soffrire, a sperare. Insomma, a vivere…

Non perdersi

Breathe…Respira…Lo aveva scritto Yoko Ono in una delle sue esposizioni surreali tenutasi, nel 1966, nella sala del Club Indica di Londra. Laddove incontrò per la prima volta John Lennon. Poi divenne il titolo un brano di un album dei Pink Floyd…il monumentale “The dark side of the moon”…Respira…oggi è diventato l’imperativo assoluto per coloro che sono vittime del corona virus, che sono in terapia intensiva perché l’aria non riesce ad ossigenare i polmoni dei malati aggrediti dal virus in tutta la sua virulenza. Eppure è così semplice…Inspirare ed espirare…è così semplice che non ce ne rendiamo conto tanto il processo è meccanico, naturale, al di là della nostra coscienza…Inspirare ed espirare è il primo messaggio, inconscio ed ancestrale che il nostro corpo riceve alla nascita ed a quell’alito di vita siamo tutti appesi, per sempre, senza possibilità di fuga perché “allontanarsi” da questo meccanismo significa perdere la vita. Nella semplicità del gesto, nella semplicità dell’incedere del respiro, nella semplicità del trasformare, inconsapevoli, l’aria in ossigeno che irrora il sangue che dà vita agli organi, che danno vita a persone, ad esseri umani, che trasformano la realtà circostante, che pensano, che vivono che amano, che…Tutto in maniera inconsapevole, tutto in maniera automatica, tutto in maniera istintiva. Il massimo del riscontro vitale racchiuso nell’inconsapevolezza dell’abitudine e del riflesso condizionato. Ma poi, ad un certo punto, accade che il respiro si affanna, si inceppa, si irrigidisce, si va rarefacendo, diventa nebbioso, denso, sempre più denso, sempre più oscuro, fino a sparire…E noi con lui. Allora arrivano le macchine a sopperire al deficit. Noi siamo assenti ed inermi e veniamo affidati a qualcun altro. Ad una macchina, a un infermiere che controlla la macchina, ad un medico che controlla l’infermiere che controlla la macchina, a un Direttore Sanitario che…Quante mani ad accudire la mancanza di un respiro, di dieci, cento, mille, migliaia di respiri in fuga dalla realtà, in fuga dalla vita ma alla disperata rincorsa di ritornare indietro, di ritrovare il ritmo nascosto del nostro essere…Quel ritmo sconosciuto perché non cercato, quell’inspirare ed espirare che era dono gratuito incompreso ed ora diventa grazia cercata, grazie (di)sperata…Ora tutto è nuovo e diverso e quello che era la normalità ora è eccezionalità. Non si può più ragionare per ovvietà, per fatti scontati, per consuetudine. ora tutto è diverso, pericoloso, ansioso e, per alcuni, ansimante. Inspirare ed espirare…Ora potrebbe essere una macchina a farlo e lei è governata non dal cervello, dal sistema nervoso, dai meccanismi cerebrali a noi sconosciuti, ma da una pompa, da circuiti elettrici e meccanici, dalla erogazione dal mix di sostanze gassose che entrando nei polmoni li alzano e li abbassano rendendo così possibile il mantenimento della vita…Nulla è scontato, nulla è banale anche quando ci sembra “normale”, da sempre. Nulla è per sempre e questo deve rimanere un monito. Oggi e sempre. Inspirare e respirare. Per pensare, per godere della bellezza del creato, per amare e per esprimere, al meglio, i giorni “contati” che ci sono concessi…

L’invisibile

L’invasione aliena è iniziata…? Già, perché pare di essere in una sorta di film di fantascienza…Dalle remote terre cinesi è sorto un virus sconosciuto che dopo avere compiuto stragi e distruzioni ha iniziato a muoversi verso l’Occidente per continuare la sua opera uccidendo persone ma lasciando intatti i beni materiali, strutture ed infrastrutture a perenne utilizzo per il dopo visto che persistenza del virus stesso sugli oggetti è molto limitata. Sarebbe il film perfetto, la fantascienza che trionfa dopo che sulla carta e sullo schermo anche nella realtà. Il piccolo, il microscopico, il quasi invisibile attacca l’immenso corpo della società e lentamente lo sgretola, i suoi componenti più deboli (per il momento), ne intacca l’economia, distrugge i suoi centri sanitaria, uccide medici ed infermieri o, comunque, li mette in serie difficoltà sanitaria. la tempesta perfetta…Uccide, distrugge, crea panico, rende sospettosi gli uni verso gli altri, mette in moto i peggiori stati d’ansia perché non si conosce il futuro, il domani, l’ora successiva. Non ci si può incontrare, sono sospese molte libertà, molti perdono o perderanno la propria occupazione, ci saranno conseguenze per l’economia…Si potrebbe continuare a lungo perché la lista è lunga e vaste sono le praterie sulle quali il virus, “gli alieni”, si stanno sempre più inoltrando. Oggi ci rendiamo tutti conto (almeno coloro che sono dotati di sentimenti e raziocinio) che anche le cose più normali, scontate, abituali sono una grande ricchezza. Incontrare amici, persone amate, andare a lavorare, chiacchierare per strada, andare in un bar, assistere ad una conferenza, ad un concerto…tutto quello che è naturale è messo in discussione, è sospeso in un tempo indefinito e non saremo noi a decidere quando questo tormento finirà. Molto dipenderà da come gli alieni si comporteranno e se si accontenteranno delle distruzioni compiute. Forse prova generale per quello che verrà dopo, come stimati scienziati hanno previsto in tempi non sospetti, Ovviamente non ascoltati. Ma una parte del “lavoro”, del combattimento sta in capo a noi tutti che dovremmo essere consapevoli che questo è il tempo dell’attesa, della ritirata ma, anche, del combattimento resiliente, per utilizzare una metafora accattivante. Bisogna rimanere quanto più possibile a casa cercando di non farsi prendere dalla tensione e dalla paura, sapendo gestire le proprie personali ansie e “patologie” psicologiche, dando la giusta attenzione ai piccoli e le necessarie rassicurazioni agli anziani. La guerra contro gli alieni deve essere potente ma, anche, attenta e mirata. perché gli alieni sono da sempre con noi. I microbi, i batteri, i virus sono da sempre con noi e sono stati sempre battuti in grandi battaglie e milioni di vittime (basti ricordare alla strage della influenza spagnola…). Ma gli alieni più pericolosi sono quelli che ci portiamo con noi, nascosti nei luoghi più reconditi della nostra psiche. sono i pregiudizi, sono le divisioni, sono gli odi, sono i rancori, sono le gelosie, sono gli egoismi, sono i razzismi di ogni tipo e natura, sono l’incapacità di gioire e godere della bellezza del creato, sono nella follia dell’accumulazione (una bara non contiene che un una persona…). Gli alieni sono nell’intolleranza, sono nella frenesia del vivere, sono nell’indifferenza, sono nell’incapacità di osservare lo scorrere del tempo con la necessaria serenità, sono nello stress che ci divora (e come ci godono i virus ad entrare in un corpo stressato…), sono nell’incapacità di vederci uguali e fratelli nel cammino della vita, sono nell’incessante incapacità di vivere in armonia con se stessi, sono nell’impossibilità di pacificare il proprio Io più profondo. Forse gli alieni, quelli veri e più distruttivi, ce li portiamo dentro…E sono i più pericolosi…forse quelli invincibili…

Viene un tempo

Comes a time” cantava Neil Young nella metà degli anni ’70 (e fortunatamente la canta ancora…) e di che venga un tempo buono tutti ce lo auguriamo di cuore. Un tempo in cui le ambulanze suonino solo in casi eccezionali, dove gli Ospedali siano pieni “il giusto”, dove si muoia secondo le logiche della vita e le percentuali fisiologiche per ciascun Paese, che medici ed infermieri possano svolgere il loro lavoro salvifico senza rischiare di morire. Un tempo in cui il Paese, tutti i Paesi, siano privi di eroi ma colmi di persone normali che, normalmente, svolgono il loro quotidiano lavoro. Un tempo in cui i canti dai balconi ritornino nei luoghi deputati: i teatri, i palasport, gli stadi. Un tempo in cui andare a vedere uno spettacolo o una partita di calcio, di basket, di rugby sia un fatto naturale e non un evento di guerra. Untempo in cui l’abbraccio e la stretta di mano non siano “attività sconsigliate e vietate ma il normale modo di salutarsi e dimostrarsi affetto. Viene un tempo per tutte le cose recita il libro biblico dell’Ecclesiaste (le cui parole vennero riprese da Pete Seeger e dai Byrds…), ma bisogna essere in grado di comprenderle e guidarle, bisogna essere capaci di avere degli obbiettivi e di trovare consapevolezza ed alleati per conseguirli. Viene un tempo nel quale è necessario cambiare, pelle, è necessario cambiare vita, è necessario essere altro rispetto al tempo precedente, ai desideri ed alle opinioni del “prima” per giungere a un “dopo” che apra la via ad una vita nuova. E’ certamente un’impresa difficile, titanica per certi versi, improba ma, pure, se non percepiamo in quanto sta accadendo l’inizio di un nuovo mondo saremo condannati a rivivere tutto quanto oggi ci spaventa e ci rende esuli nelle nostre case…E’ il tempo dell’esilio, un esilio ben strano nella propria abitazione (per alcuni negli Ospedali da degenti o da operatori). Un esilio che non avremmo voluto vivere, un esilio dove siamo stati condotti pur senza avere commesso azioni negative, criminali, destabilizzanti. E’ l’esilio dagli affetti, dalle consuetudini, dal tempo ordinario della vita. E’ l’esilio che richiede introspezione e verifica di chi siamo e di chi sono le persone intorno a noi. Non si tratta di una visione poetica della vita ma della vita stessa che chiede di essere trasformata e riportata sulla strada della pienezza a cui dovremmo essere sempre chiamati. Se quello che è giunto a bussare alle nostre porte è il tempo dell’esilio dobbiamo lavorare “dentro di noi” per costruire le strade sulle quali andremo nuovamente a camminare ma non con i passi di prima bensì con passi e parole nuove, con uno spirito che sia in grado di aiutarci a comprendere quali, davvero, i punti salienti della vita e quali quelli che, invece, ci hanno fatto perdere solo del tempo; quel tempo che rappresenta una delle realtà fondamentali della vita. Perché non ritorna quando è perso ma che può essere rivalutato e riportato al centro della nostra consapevolezza. Spesso diciamo che dobbiamo “passare bene il tempo”, ed è corretto, ma meglio ancora dobbiamo sforzarci di vivere bene il tempo perché, Comes a time, arriva un tempo in cui dobbiamo fare i conti con la vita e con noi stessi con gli strumenti e con le esperienze che abbiamo costruito negli anni, con le relazioni e le amicizie, con i valori e con le paure, con i sogni e i sorrisi, e le delusioni e le lacrime. Ma il tempo, quello delle decisioni, arriva sempre. Ma il tempo, quello dei cambiamenti, arriva sempre. Ma arriva anche il tempo della “liberazione” e quando bussa alla porta non possiamo fingere di non sentire…

In cammino

“Le vie dei Canti” è un libro straordinario di Bruce Chatwin…Un libro che è il racconto di una vita di viaggi, di luoghi, di incontri, di metafore, di narrazioni, di speranze. Un libro che porta il lettore verso luoghi lontani e, contemporaneamente, nella propria anima, nel proprio intimo, nel proprio profondo Sé, come a voler sancire il bisogno di andare lontano senza allontanarsi dalla propria intimità. Le vie dei Canti potrebbe essere chiamato il nostro cammino interiore di questi giorni desolati, tristi, pieni di mestizia e di dolore. Giorni che non dimenticheremo e che verranno scritti sui libri di storia. Giorni che non potranno passare indenni dalla nostra memoria e non potranno essere rimpiazzati da imprese sportive, vittorie elettorali, concerti negli stadi, vincite al lotto, Capodanni festosi e Natali lucenti. Saranno giorni ricordati per il dolore seminato a volontà, per le lacrime non viste, per le paure trattenute con dignità, con la forzata restrizione della propria libertà, con l’ira repressa per quello che si poteva prevedere e non è stato messo in campo e per l’impreparazione di alcune strutture sanitarie che si stanno reggendo sul coraggio degli operatori sanitari molti dei quali, ancora oggi, privi di tutti i necessari strumenti di protezione. Sono giorni intensi nella loro drammaticità quando anche il sacro ha, almeno dal punto di vista dell’immediato, “qualche battuta di arresto” e Papa Francesco si sente nella convinzione e necessità di fare, oggi, un gesto pubblico che mai era avvenuto nella storia della Cristianità. Sono i giorni della memoria indelebile e del cammino “in una selva oscura”, in una dimensione di silenzio e di speranza, in una dinamica che richiede capacità di decisione e di prontezza. Sono giorni nei quali non si può sbagliare nessun passo perché le conseguenze, quotidiane, sono sotto gli occhi di tutti. E’ il momento del silenzio e della riflessione, per chi ha la salute per farlo. E’ il momento del silenzio e della speranza per chi è malato e per i propri cari. Nel contempo la Via dei Canti che ciascuno si porta con sé non deve smettere di invitarci al cammino. perché non possiamo e non dobbiamo fermarci, perché dobbiamo essere consapevoli che il nostro cammino, personale e collettivo, è decisivo per non abbandonarci alla disperazione, alla sfiducia, allo scoramento, alla sconfitta. La Via dei Canti interiore deve e può essere la guida a resistere a questa tempesta per essere lucidi, dopo, quando sarà il momento dei resoconti, a sapere discernere “il bene dal male”, gli errori dalle azioni giuste, la disorganizzazione e la superficialità dall’organizzazione e dalla precisione e tempestività. Oggi dobbiamo solo camminare, non stare fermi nelle nostre abitazioni ma camminare. Con il pensiero, con la logica, con i sentimenti, con la necessaria lucidità storica ed etica. perché dopo un diluvio c’è una colomba. E dopo una colomba, la terra ferma…

Due preghiere

Inizia con il tocco delicato del pianoforte “Murder most foul” il brano inedito messo in rete da Bob Dylan ieri. 17 minuti di parole e musica che avvolgono chi ascolta perché sono il racconto di una storia lunga più di mezzo secolo. Il suono di violoncello che accompagna le note del piano sono una sorta di doloroso lamento che riporta la memoria di tutti al tempo vissuto, al tempo letto, al tempo raccontato. E poi al presente con l’esortazione a stare a casa, a volersi bene. Bob Dylan, questo cantore del tempo che non ha tempo e vuole tempo. Bob Dylan nato ebreo, diventato agnostico, e poi convertito al cristianesimo, poi tornato ebreo ma, in fondo, sempre con “il Libro” aperto, come raccontava sua madre. “Un Libro” dove leggere storie e trasformarle in parole nuove e canzoni, nuovi salmi per i nostri giorni, nuove litanie per “un popolo” che attendeva ed attende, sempre, il Verbo, un Mosè, un Salvatore. Di cosa, di chi, del come e del perché è sempre un fatto personale. Lo hanno soprannominato in mille maniera ma il “titolo” che maggiormente lo ha tormentato è stato quello di “profeta di una generazione”. Forse non era la parola “profeta” a disturbarlo ma “generazione”, perché le parole che scrive e canta sono parole per tutte le generazioni. Sono passati sessant’anni da quando cominciò a suonare in piccoli folk club del Minnesota e cinquantanove da quando arrivò a new York, in una gelida giornata d’Inverno. quindi le sue parole non erano profetiche per una generazione ma per tutte le generazioni e quel Libro sempre aperto nella casa di Woodstock è stata la sua stella cometa dell’ispitazione post incidente motociclistico…Forse, chissà, perché lui è “uno, nessuno e centomila”. Nel 1997 a Bologna (20 anni dopo il famoso “Convegno contro la repressione” di un ’77 infuocato), Dylan suonò al Convegno Eucaristico alla presenza di Papa Giovanni Paolo II°. Erano tempi di cambiamenti (era caduto il monolite sovietico, si stavano costruendo le basi della globalizzazione, l’informatica iniziava a dominare la tecnologia…) e il Papa raccolse l’invito a trovare “la risposta che soffia nel vento”. Ora con questa canzone (?) o, forse, questo racconto di storia contemporanea, Dylan ci invita a riflettere sulla nostra vita, sulla nostra storia, sul senso del tempo che scorre. Un umo solo che canta, un pianoforte con poche note ed un violoncello, delicato, a corredare il testo. Lungo, ipnotico, enigmatico. Il più lungo della sua carriera…E’ un viaggio nella storia recente, anche se il titolo riprende un passaggio dell’Amleto di Shakespeare a dimostrazione che tutto cambia ma ogni cosa rimane simile nel tempo. Cambiano gli attori e il palcoscenico, ma le storie sono immancabilmente uguali…Basti leggere il “Libro dei Re” o il “Libro delle Cronache” per rimanere perplessi rispetto al concetto di modernità. Novello Mosè un’altra volta il ragazzo del Minnesota ci prende per mano e ci accompagna nella storia. Armato solo della parola.

Così, come armato solo della Parola, ma anche dalla fede e dalla speranza, si è mostrato al mondo un altro pellegrino, Papa Francesco, l’uomo che disse la sera della sua elezione “sono venuti a prendermi fino alla fine del mondo…”. E lui, ieri sera, da solo nella Piazza San Pietro pareva giungere da un altro tempo per fermare “la fine del mondo”. Con gesti misurati e profondi ha mostrato la debolezza dell’uomo, la sua debolezza, al mondo intero e anche molti non credenti ne hanno lodato il coraggio (mostrare la debolezza è sempre un atto di coraggio), la sua fede profonda, la sua determinazione, il suo confidare, fidarsi, affidarsi nel racconto della tempesta sedata sul lago di Tiberiade. Mentre gli apostoli temevano, giustamente, per le loro vita, il loro vate, Gesù Cristo, diceva loro di stare calmi e di avere fiducia che Lui sarebbe intervenuto a ristabilire la pace. E il Papa, che di Cristo è il vicario in terra (ovviamente per i cattolici), a chi poteva affidarsi se non a Colui che rappresenta. Ieri sera varie generazioni hanno visto la Storia in diretta. Il crocefisso ligneo a cui nel 1522, nella processione che durò dal 4 al 16 Agosto, si affidarono i romani perché cessasse la “grande peste” è stato portato in San Pietro per la preghiera e la benedizione “alla città e al mondo”.

Profezie differenti, entrambe inserite nel mondo. Uno della parola che si esprime con la musica e con le imperfezioni della propria vita. Come quelle di tutti noi. L’altro con la Parola che discende dal sacro che rappresenta. Entrambi in cammino, come pellegrini, come Mosè, per trovare sempre la strada migliore da percorrere…”How many roads…?”…canta il primo; “Perché avete paura…Non avete ancora fede…?” ammonisce il secondo. A noi la libertà di trovare la risposta…

Verso Pasqua

Niente processione delle Palme, niente sventolio di ulivi, niente chiese affollate, niente feste ed attesa del Messia. Le chiese sono vuote. Aperte ma vuote. Le persone fanno la fila ma solo per andare al supermercato o in altri luoghi per l’acquisto di beni di prima necessità. E’ il silenzio a dominare il senso della festa avveniente…Come dovrebbe essere perché nella settimana Santa dopo la festa c’è il tumulto, la morte, il silenzio, l’attesa e, alla fine, la luce. Come in questi tempi: la festa per le attività del proprio quotidiano, il tumulto per il cambio di vita, la morte di persone care o sconosciute, il silenzio per ricordare chi se ne è andato o chi non possiamo vedere, l’attesa per i giorni lenti che stiamo vivendo, l’alba di luce che tutti si attendono arrivi presto. Una Pasqua strana, una Quaresima in quarantena sembra un paradosso scaturito da un romanzo di qualche scrittore apocalittico o di fantascienza, ma è accaduto proprio in questo tempo che dovrebbe essere dedicato alla riflessione. Il Carnevale non c’è stato mentre la Quaresima è arrivata con grande irruenza e “spaventevole” potenza. Ora che sta terminando in vista della Pasqua il tempo appare sospeso come un “non tempo”, dove tutto appare come strano, diverso, inafferrabile, incomprensibile. Un tempo dove l’immobilità è stata la cifra che ci ha definito in maniera diversa: come cercatori immobili, come affamati di sapere, come in attesa dell’apparire della verità nascosta ai nostri occhi. Molte certezze sono svanite, molte dimensioni si sono annientate, molte sicurezze hanno fatto un passo indietro, molto di quanto valeva si vaporizzato. Ora il piano inclinato del tempo ci porta verso la Pasqua…ma una Pasqua diversa, una Pasqua attonita, una Pasqua dove possiamo davvero immaginare il sangue dell’Agnello segnato sugli stipiti di alcune porte mentre altre ne sono prive. Una Pasqua dove ci vediamo in cammino anche se siamo fermi nelle nostre abitazioni. Una Pasqua dove la luce c’è ma è nascosta, molto più degli anni scorsi. Una Pasqua dove sarà più il ricordo che il futuro a dare il senso di un Tempo ormai finito e l’annuncio di un Tempo nuovo che dovrebbe essere compreso nella sua vera accezione di rinnovamento personale e di risveglio alla vera vita per tutti. Sarà così….? Probabilmente no. Tutto tornerà esattamente come prima perché è nella natura dell’uomo cambiare ma è nella natura delle comunità complesse rimanere immutabili. Ma uno sforzo va fatto perché altrimenti sono stati vani questi eventi presenti in un lungo e tragico venerdì santo privo della Domenica di Pasqua….

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ancora preistoria!

Ciao a tutti e tutte!

Ormai ho preso l’onda e proseguo nell’archeologia fotografica!!!

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potete vedere una terna di foto calcistiche:

-in una, addirittura il Dottor Franco Casazza con me tra un tempo e l’altro

-poi lo squadrone che tremare il mondo fa(ceva!!!) con l’allenatore e alcuni riconoscibili indimenticati atleti dell’Essegibi!!

-infine una partitella tra amici con Draghetto, Don Tonino e altri soliti noti!!!

Poi due belle e grandi panoramiche a colori davanti alla chiesa con l’intero gruppo giovani (anno 1972!!!) , con Don Antonio e Don Tonino.

Questa è storia…..

Buona visione e ciao!!!!

Salvatore

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arrivo di reperti storici!!

Ciao a tutti/tutte!!

Riceviamo dei pezzi da 90, anzi 180 da Salvatore Pennisi, in quel di Parma. Definirli reperti preistorici (che non si offendano i protagonisti…) ci sembra il minimo!!!

Lo ringraziamo a priori e subito li rendiamo pubblici caricandoli sul sito nell’apposito album, visibile ciccando sul link

https://www.flickr.com/photos/amarcordmarnero/albums/72157713136435537

Ed alleghiamo anche il suo messaggio annesso:
“Purtroppo mi rendo conto che la mia generazione risulta ormai “preistorica” per l’ SGB e Mar Nero!
Tuttavia, scartabellando le vecchie foto (come spesso con un pizzico di rimpianto fanno gli anziani), ho trovato alcune istantanee del periodo 1972/ 1976 che vi voglio passare, nonostante la pessima qualità.
In una c’è pure il Paolone Minunni al mio matrimonio, con i coniugi Nozza, i fidanzati (Tesoro-Polli) e la Marisa Parente.
Nelle altre riconoscerete i giovanissimi De Simone, Pantaleo e Cellammare e altre durante una gita della comunità sulle nevi.
Se poi avrete bisogno di dettagli, sarò a disposizione”.

E noi per questo abbiamo lasciato in chiaro il tuo indirizzo, caro Salvatore!
Ancora grazie e buona visione a tutti voi !!!!!!!!!!!!!

Ciao
La Redazione


Ciao Paolo

Per ricordare Paolo, vi inviamo tre cose:
1) una foto che lo ritrae in SGB qualche anno fa, in compagnia di altri famosi amacordiani….(foto inviata da Pino Pirro)
2) una riflessione di Rosario, nel momento del saluto a Paolo
3) un messaggio di Riccardo, figlio di Paolo, che saluta tutti quanti siano stati loro vicini in questo triste momento.
**
Data l’importanza del momento e la trasparenza dei pensieri, quando vorrete ritroverete tutto sul sito www.amarcordmarnero.it
Grazie a tutti voi.
Ciao

Da sx il piccolino in piedi col giumbotto non lo so, quello più alto, biondo con gli occhiali è Titta, ma non so se lo chiamavano così o si chiamava così, poi con la giacca bianca c’è il buon Paolo Caselli, poi sempre in piedi verso dx, Natalino Greco e poi Sergio Bazzani, accasciato a sx Mauro Parenti, e a dx Nello Campo, credo… Mi manca solo il piccolino a sx e come si chiamava completo Titta… Fonte: Pino Pirro

 

Ieri eravamo in tanti presenti a salutare Paolo per il suo viaggio “ultimo”. La chiesa in cui si è celebrato il funerale era colma di persone che erano lì per tributargli l’ultimo saluto. Persone che, magari, non lo vedevano da tempo perché si sa, le esigenze del quotidiano fanno scorrere il tempo in maniera troppo veloce e gli anni passano anche se ti sembra di non esserti mai mosso. Con Paolo era difficile incontrarsi ma ci leggevamo su FB ed era sempre un piacere scorrere le sue parole perché le sue opinioni erano sempre sobrie, sagge, ponderate, attente e competenti sui temi di cui parlava. Il suo modo di scrivere, di pensare e, soprattutto, di essere mostrava l’essenza di una persona misurata che sapeva di cosa parlava e lo faceva sempre per portare la linea dell’orizzonte più avanti, evitando di fermarsi alle apparenze oppure a ciò che era scontato, ma voleva sempre capire e cogliere (e fare cogliere a chi leggeva) gli aspetti (magari) meno evidenti delle questioni ma, comunque, altrettanto importanti.

Dice il Vangelo che è dall’albero che si riconoscono i frutti ed ascoltando ieri i saluti dei famigliari di Paolo, osservando la compostezza dei suoi genitori, è stato facile comprendere quanta ricchezza si è seminata e poi raccolta nella storia della sua famiglia. Quella di origine, innanzitutto e poi in quella da lui generata insieme a sua moglie Donatella. Abbiamo ascoltato, da chi è intervenuto, parole di rimpianto ma anche di affetto e di gratitudine, di amore e di speranza che ancora di più hanno fatto emergere la figura di una persona buona e saggia, di uno spirito prudente e rispettoso degli altri, di una persona che amava la sua famiglia e che, con il suo modo di essere, è sempre stato un pacificatore, capace di andare oltre le apparenze alla ricerca del “buono e giusto”, sempre e comunque. Al funerale si sono incontrate persone che non si vedevano da anni, alcune da decenni, con piacere e senza imbarazzi per il tempo trascorso. Un piccolo miracolo, questo, nato in quello spicchio di cielo circoscritto tra via Mar Nero e Via Nikolajevka e cresciuto nell’oratorio di San Giovanni Bosco a riprova, nuovamente, che quando il seme è buono non marcisce ma continua a vivere. Come Paolo, che vivrà nel ricordo di chi lo ha conosciuto, dei suoi famigliari, soprattutto dei suoi figli e di chi gli ha voluto bene. E soprattutto di lui ci si ricorderà per il bene, appassionato, generoso e gratuito che ha voluto e saputo donare agli altri…

**
Un unico e simbolico messaggio per ringraziare tutti coloro che questi giorni sono venuti a salutare papà alla camera ardente, o che ieri erano presenti in chiesa.
Nessuno di noi si immaginava una partecipazione come quella di ieri.
Nonostante non apprezzasse particolarmente essere al centro dell’attenzione, sono sicuro che papà sarebbe fiero e commosso del tempo speso da ognuno di voi per venire a dargli un ultimo saluto.
Parlo a nome della mia famiglia, ci avete sciolto il cuore con la vostra presenza, i vostri abbracci e le vostre parole di conforto. Lo mando a più persone possibili tra quelle che ho riconosciuto, sperando di non dimenticare nessuno, ma pur sapendo che sarà così…e di questo me ne scuso in anticipo. Spero non se la prendano coloro che non saranno tra i destinatari diretti, ma che leggeranno il messaggio “di girata”.
Vi chiedo, a proposito, di condividere il messaggio tra di voi anche su gruppi in comune, affinchè questo breve ringraziamento raggiunga il maggior numero di persone possibile tra quelle presenti.
E per quelle non presenti perchè impegnati o impossibilitati a cui capiterà di leggere questo messaggio, non preoccupatevi: Paolino si sarebbe fatto bastare anche un pensiero.
Un abbraccio a tutti,
Riccardo e famiglia


Natale 2018 in Zambia

Carissimi amici solo oggi sono arrivato a realizzare che il Natale è ormai molto vicino. Il tempo si muove ad un ritmo incontrollabile e mi ritrovo a vedere i giorni sfuggire senza che io possa fermarli. Sarà che quest’anno sono diventato cinquantenne e nella percezione reale di non essere più così tanto giovane mi accorgo che tutto passa più velocemente. Mi chiedo spesso se mai riuscirò a realizzare tutti i sogni e i desideri che ancora nascono, crescono e si accumulano nella profondità del mio essere. Mi chiedo anche se ciò che ho fatto negli anni passati e sto facendo ancora ora abbia avuto ed abbia ancora veramente un senso…. Ma su questo punto tornerò più avanti.

Da tanti anni sono in Zambia. Amo questa gente e questo paese. Pare che non debba lasciarlo presto anche se qualcuno lì da voi spera che con lo scadere del mio dodicesimo anno nel 2019 io ritornerò nella nostra bella Italia. Nel mese di gennaio inizierò una nuova avventura muovendomi da solo nell’estremo ovest dello Zambia, nella Western Province, nella città di Mongu, per inziare una nuova presenza milanese che dopo di me, se tutto andrà bene, potrà crescere e continuare. E’ bello sapere dal vescovo che quello è un luogo dove nessuno vuole andare! E’ la provincia più povera dello Zambia, con una popolazione molto bassa. La diocesi è grande quasi come l’Italia Settentrionale ma ha solo 11 parrocchie. Confina a nord con il Congo, ad ovest con l’Angola, a sud con la Namibia e ad est con il Kafue National Park in Zambia. E’ un luogo lontano, a 650 Km da Lusaka, ma quando ci vai sembra che ti muovi verso il nulla. Qualche villaggio ogni tanto, nessuna grande cittadina sulla strada infinta, piatta e diritta e alla fine si arriva a Mongu dove ti incontri con il grande fiume Zambesi che lì, proprio a Mongu, diventa come un mare. Quel che farò di preciso e come inizierò a lavorare a Mongu ve lo racconterò nella prossima puntata. Per ora sto ancora ragionando con il vescovo e il giorno 7 gennaio 2019 andando a Mongu cercherò di capire qualcosa in più.

Quel che mi spinge a ripartire non è ancora del tutto chiaro dentro di me. Sarei potuto tornare in Italia a questo punto della mia storia. Ma a fare che cosa? Ciò che ci fa vivere è la speranza ma nel nostro bel paese io ne percepisco veramente poca. L’egoismo diffuso e galoppante che sta intrappolando troppi, accompagnato dalla paura e dal sospetto, non possono darci futuro. Ma ciò che mi preoccupa di più è che sia a destra che a sinistra, sia tra i cattolici che tra i comunisti oggi si ripetono le stesse inutili cose che invece di costruire quella fraternità universale a cui siamo chiamati sono solo capaci di incattivire le persone e separarle dalle altre. Così moriremo vecchi e da soli!

Ciò che in Zambia invece, nonostante le fatiche e i continui fallimenti, mi fa sperare sempre, è l’idea di vita che trionfa. In questa nazione ci sono 16 milioni e mezzo di abitanti. Tra questi il 49.95% hanno tra gli 0 e i 14 anni. Tra i 15 e i 24 anni sono il 20% degli abitanti. Abito in un paese dove il quasi il 66% degli abitanti ha tra gli 0 e i 24 anni. Straordinario! Ci sono solo bambini, ragazzi e giovani. Si respira aria di freschezza, di novità, di apertura al futuro. Anche qui arrivano quelli che scappano dai loro paesi trovando le porte aperte. Nell’ultimo anno sono arrivati circa 42.000 congolesi e nessuno li ha mandati via. Anzi hanno costruito campi profughi e tutti si attivano per aiutarli. Sarà che tra poveri ci si capisce meglio. In questa nazione come in molte altre nazioni del terzo mondo, ciò che disturba la pace e la vita buona non viene da loro ma ancora da noi che non abbiamo ancora smesso di sfruttarli e di confonderli. Però non li vogliamo tra i piedi….

Io mi sento distante da tutto questo.

Ho deciso allora di aiutarli ancora a casa loro, come la moda dei nuovi politicanti dice. Ma non perchè voglio tenerli lontani e non averli sotto gli occhi. Anzi vorrei fare qualche passo per diventare un po’ di più come loro. Anche Dio si è incarnato in Gesù di Nazareth. E’ diventato uno di noi. Ha voluto scendere e abbassarsi per farci diventare una sola famiglia. E io, nel poco che potrò fare, vorrei muovermi in questa direzione e rendermi vicino il più possibile a questa gente. E questo non sarà un grande sacrificio perchè la cosa di cui sono sicuro, perchè l’ho vista in tutti questi anni, è che comunque la gente qui è più contenta, più libera, più aperta. Quando hai meno da difendere diventi così. Più capace di amare.

Forse è questo ciò che dovremmo chiederci a Natale. Non un giorno di dolcezza e buoni auguri, ma un giorno in cui prendiamo coscienza che il vero benessere da difendere non è quello dei più soldi nelle nostre tasche, ma la pace del cuore che ti libera e ti porta ad amare tutti come fratelli.

Un abbraccio a te cara amica e caro amico.

Don Francesco

Lusaka

Zambia 23 dicembre 2018


….e per una volta…..

… che non scriviamo di una partenza, ma di un arrivo….. ne siamo contenti !!

Buon Natale e migliore anno nuovo a tutti voi
Il Comitato Amarcord

PS. ma poteva mancare il messaggio “serio”? Quest’anno ce lo invia Rosario:
Non abbiamo molto tempo da perdere. Il futuro è alle porte e sta bussando con sempre più forza. Possiamo anche far finta di non sentirlo ma lui, con determinazione, sfonderà la porta e ci si parerà davanti…Se saremo da soli ad affrontarlo, la sconfitta sarà certa, se saremo, invece, Comunità, il futuro lo potremo affrontare con fiducia, governarlo e condividerlo. Non per il nostro “interesse” ma per la vita di chi ci succederà…

Bene, e per finire, due foto “bomba” di noaltri, avute da don Antonio Mascheroni….
In allegato il tuffo all’indietro! Ciao!!!

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